Mar 292013
 

Western Digital My Book LiveUn recente acquisto di cui sono molto soddisfatto, e di cui vorrei parlarvi oggi. Sto parlando dei simpatico giocattolo che vedete qui a fianco, ovvero il Western Digital My Book Live, in versione da 3 TB.

Motivo dell’acquisto è stato il voler spostare in una posizione più “solida” tutti i file audio e video che al momento avevo su un disco esterno portatile (sempre WD) da 1 TB.

Ma non di solo spazio vive l’uomo…
… perchè se ha anche una TV con wi-fi incorporato, un Macbook con Time Machine e una ricca libreria di iTunes… 😉

Andiamo con ordine, però.
Mettere all’opera il My Book Live è semplicissimo: dopo averlo connesso all’alimentazione ed alla rete cablata (ha una presa Gigabit Ethernet, nel mio caso collegata direttamente al router Fastweb) basta installare il companion software (disponibile per Windows e Mac, manca una versione Linux ma ovviamente non è indispensabile per far funzionare correttamente l’unità nè per configurarla) e seguire i semplici passi guidati. Tempo tre minuti (giusto il necessario perchè il disco faccia il boot) ed il disco è online.

Accedendo al pannello di controllo, la prima cosa che ha fatto è stata notificarmi che c’era un aggiornamento del firmware; dopo aver raccolto il mio consenso all’aggiornamento (si può anche impostare perchè si aggiorni automaticamente, senza notificare l’amministratore dell’unità) ha scaricato il firmware e l’ha installato. Cinque minuti dopo l’unità era nuovamente online, con l’ultima versione del firmware.

Da Mac non c’è bisogno di fare nulla di complesso, il companion software ha già rilevato il My Book Live e l’ha mappato: potete usarlo direttamente dal Finder per copiare nelle apposite cartelle video, audio e foto. Tutto quello che andrete a mettere in queste cartelle Pubbliche sarà accessibile a chiunque nella rete e… e sarà trasmesso, tramite il server DLNA incorporato ed attivo per default, sulla rete, a disposizione di tutti i dispositivi compatibili (TV connesse, lettori Blue Ray, Xbox 360, Playstation 3 ecc).

La mia TV (una LG 47LM660S) l’ha rilevato immediatamente, permettendomi di navigare fra i file audio/video che avevo copiato sul capiente disco dell’unità. La riproduzione avviene in streaming ed è perfetta anche in caso di file video Full HD.

Allo stesso modo, il server iTunes incorporato (ed attivo per default) rendeva disponibili sulla rete tutti i file audio, permettendone lo streaming sui PC-Mac con iTunes.

Già con solo queste caratteristiche (unite ad un bel design) il prodotto sarebbe interessante, ma ovviamente il My Book Live dispone di molto di più. Come ho già detto, è immediatamente disponibile come unità di backup per Time Machine di Apple (potendo anche scegliere, dal pannello di controllo dell’unità, accessibile da browser web, quanto spazio disco dedicare a questa funzione). Gli utenti Windows possono usare Windows Backup, l’utility WD Smartware o altri software di backup per assolvere la stessa funzione.
E’ possibile creare diversi utenti sull’unità e definire capillarmente a quali condivisioni permettergli l’accesso (eventualmente dandogli anche una condivisione riservata, in cui conservare propri documenti).
Inoltre, è possibile configurare l’unità per fare il backup automatico di se stessa con altre unità simili presenti nella rete, rendendo la soluzione molto più sicura.

WD 2goInfine (e dulcis in fundo) la caratteristica principale di questa unità sta proprio nel suffisso LIVE: permette di creare una personal cloud, accessibile da qualunque computer connesso ad Internet tramite un semplice browser (ed un apposito sito, che funge da bridge fra voi ed il vostro My Book Live: https://www.wd2go.com/) o tramite apposite app per dispositivi mobile (iOS, Android, Blackberry e Windows Phone). In questo modo i vostri file saranno sempre con voi, senza dover ricorrere a soluzioni di terze parti (Dropbox, SkyDrive, Box.net ecc.).

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Allo stesso modo, e tramite un’altra app mobile, è possibile accedere alle foto immagazzinate sul vostro My Book Live, per avere il vostro portfolio sempre con voi (ed arricchirlo con i vostri scatti realizzati in mobilità, che possono essere caricati sul My Book Live direttamente dall’app.

In definitiva: il WD My Book Live è davvero un bel prodotto, sotto ogni punto di vista: design, funzionalità, facilità di configurazione ed utilizzo. Il plus di creare la propria personal cloud (con spazio virtualmente illimitato, difficile aver bisogno di più di 3 TB di file in mobilità) permette di abbandonare servizi di cloud storage a pagamento.

Feb 152013
 

smw-milanLo so, sembra incredibile, dopo tutto questo tempo dall’ultimo post…
… eppure a volte ritornano… 🙂

La colpa (meglio dire il merito, perchè tale è) di questo ritorno è dovuta all’esser stato invitato, in qualità di membro del Media Team, alla Social Media Week che si terrà a Milano (ed in contemporanea in altre 9 città worldwide) dal 18 al 22 marzo.

Il programma è ricco di eventi interessanti (ed io ho intenzione di seguirne parecchi), sparsi tra varie location fra le quali si muoverà una sala stampa mobile, powered by Fiat 500L.

Inutile dirlo, il tema saranno i “social” in tutte le declinazioni, dal food al commerce, dal mobile alle imprese, dalla governance allo sport… ce ne sarà per tutti i gusti.

Per l’occasione anche il mio Twitter sarà insolitamente cinguettante (rispetto ai miei standard normali). A tal proposito, mi è piaciuto molto il disclaimer del mio “collega di Team” Rocco Rossitto circa il suo modo di riportare la SMW.
Beh, chi mi segue da un po’ dovrebbe conoscere bene le mie blog policy, che si applicano ovviamente a tutto quello che faccio e racconto online… quindi…

… ci vediamo a Milano. 😉

Oct 062011
 

Sono passati diversi anni da quando acquistai il mio primo prodotto Apple. E nel corso di questi anni ho imparato ad apprezzare prima (ed amare poi) la semplicità, lo stile e la tecnologia che ogni prodotto Apple portava in dote. Ma più di tutto mi sono trovato, ogni volta che un prodotto Apple veniva presentato, a restare incollato al mio PC (prima, ed al Macbook poi) per seguire ogni parola che quel magrissimo pazzo chiamato Steve Jobs aveva da dire.

Riusciva a tenerti letteralmente incollato allo schermo, mentre quelli che erano in platea pendevano dalle sue labbra… che non la smettevano di snocciolare “unbelievable”, o “amazing”, o “incredible”, riferendosi al prodotto che stava presentando. E quei prodotti erano davvero così… e lui ci credeva davvero così tanto… e riusciva davvero a trasmettere tutto questo a chi lo stava a sentire.

Non aveva un carattere semplice… e le risposte alle mail che riceveva il più delle volte erano poche, scarne parole (ma che scriveva personalmente, cosa rara ai tempi di oggi) che lasciavano trasparire quanto “busy” fosse la sua giornata e  quanti  pensieri affollassero la sua mente.

Poi la malattia… ed ogni volta che lo si vedeva, era sempre più sofferente… più emaciato… ma nonostante tutto, aveva sempre questa incredibile voglia di vivere ed andare avanti. Non ce l’ha fatta. Il cancro di cui soffriva ha vinto la battaglia. Ma la guerra con cui Steve ha cercato di cambiare il mondo con i suoi prodotti… quella l’ha vinta lui.

Addio, Steve.

Jun 292011
 

Uh… che “emozione”, Google sta lanciando il suo “nuovo” social network, chiamato Google Plus!

Sarà, ma non riesco ad emozionarmi più di tanto al riguardo, nè tantomeno riesco a pensare a Google+ come ad un “anti Facebook, dopo aver visto (e vissuto, dal momento che li ho sempre testati tutti) il fallimento di diversi altri progetti Google su questo versante (ricordate Google Wave? Ricordate Google Buzz?)

Sulla carta il progetto è ambizioso: ripensare per il web quello che di “social” succede nella vita reale, ovvero ritrovarsi con gruppi di amici (e non necessariamente TUTTI gli amici, come succede su Facebook), fare due chiacchiere in video, trovare argomenti di discussione online. Secondo i piani di Google, questo è solo l’inizio del progetto Google+. Ok… tutto bello… tutto “luccicante”, ma… sorry Google, sarà l’ennesimo fiasco.  Perchè?

Semplice: perchè Google vuole troppo, e fa troppo.

Ho dato un’occhiata all’interfaccia ed alle funzioni di Google+, e sono anti-intuitive e troppo “avanzate” per quello che le persone cercano dai social network al momento.
Perchè Twitter ha preso piede a livello mondiale? Perchè è semplice.
Perchè Facebook ha preso piede a livello mondiale? Perchè è semplice.
Perchè Google Wave lo ricordano in 100 (e l’hanno usato in 10)? Perchè era un casino.
Perchè Google Buzz è stato disattivato da tutte le Gmail delle persone che conosco? Perchè la incasinava, aggiungendo layer di complessità che di contro portavano “poco”  di social.
Perchè Orkut (altro progetto di Google) è invece utilizzatissimo in alcuni paesi come Sud America ed India? Perchè è semplice! (e se si fossero mossi per tempo, lanciandolo in grande stile anche nel resto del mondo, probabilmente Facebook avrebbe avuto di che preoccuparsi).

Google da per assunto che la sua base utenti (fatta di centinaia di milioni di persone con un Google Accounts) si butterà in massa ad usare un prodotto di Google “solo perchè è di Google”. Errore! Le “persone normali” (dove per normali intendo tutti quelli che non sono tecnici/geek/early adopter) se ne fregano dei social network di Google, e se ne fregano dei Circles, degli Sparks, degli Hangouts (se non sapete cosa sono, siete “persone normali”) 😛

Al momento Google+ è in beta per un ristretto gruppo di utenti; appena sarà possibile provarlo, ne riparleremo (valutando o meno se questa analisi preliminare, basata esclusivamente sui precedenti tentativi di Google nel mondo dei social network) sarà stata corretta o meno, tenendo presente che nelle intenzioni di Google questo progetto è qualcosa da far evolvere nel tempo e far durare nel tempo, non lanciarlo “così com’è” e vedere come viene accolto dalla massa di utenti. 🙂

UPDATE – 30.06.2011 ore 15.00: da qualche ora sto provando Google+, avendo ricevuto un invito.
Beh… è come quando è stato lanciato Google Wave: all’inizio tutti a provare, a scrivere, ad invitare… poi dopo qualche ora, smaltita l’euforia del nuovo, si pensa: “Ok, gli darò un’altra occhiata domani”. Il giorno dopo si torna, si vede cosa è successo e si chiude. Così fino al giorno in cui ci si scorda di guardare cosa è successo. Ed allora addio… 😛 Quindi… non posso che confermare la mia analisi di ieri, senza dubbio.

Fondamentalmente è più simile a FriendFeed che a Facebook, e questo (all’inizio) ne limiterà molto l’espansione. E badata bene, ho scritto “all’inizio” solo perchè chi non ha mai conosciuto FriendFeed, probabilmente non conoscerà nemmeno Google+. Facebook… dormi sereno. 🙂

Jun 152011
 

(Trasparenza per un mondo migliore: le cuffie oggetto della recensione mi sono state inviate in prova da Rita di First Class P.R., che ringrazio. Come sempre, ciò non ha influito sull’oggettività di quello che scriverò. Al riguardo, vedi anche le mie Blog Policy).

Il mio mondo, senza musica, non avrebbe senso di esistere. La musica mi accompagna durante quasi tutta la mia giornata (dai tragitti in bus da e verso il lavoro, a quando sono in ufficio, all’attesa durante i miei frequenti voli ecc.). Nel corso degli anni sono diventato abbastanza esigente per quanto riguarda l’audio (non mi considero un purista, per carità… ma solo l’idea di dover ASCOLTARE musica con le cuffie di serie dell’iPhone mi fa venire i brividi) e questo mi ha portato via via a testare vari auricolari e cuffie.
Proprio per questo, quando mi è stata proposto di provare un nuovo modello di cuffie, ho accettato con entusiasmo, ben conscio della dura sfida a cui andavano incontro (utilizzo normalmente un paio di cuffie di alto livello ed altissimo costo, che mi sono state regalate a Natale) 🙂

Le cuffie di cui vi parlerò sono le Pioneer SE-MJ151 (che vedete nella foto sotto). Quelle che mi sono state inviate sono esattamente di quel colore, benchè siano disponibili anche nere/rosse e completamente bianche.

Alcuni dati tecnici, su cui non mi soffermerò molto, perchè a me preme parlarvi di “come suonano” (e poi… i dati tecnici li trovate dappertutto) 🙂

Risposta in frequenza: 10 – 25,000 Hz
Impedenza: 32 Ω
Massima potenza d’ingresso: 1000 mW
Unità Driver: 40 mm
Spina: spinotto mini da 3,5 mm (placcato oro)
Lunghezza del cavo: 1,2 m
Unità driver da 40 mm
Magnete di terre rare
Bobina voice coil CCAW
Peso netto (senza cavo): 135 g

Sono confezionate in una pratica scatola blister in plastica, il prezzo al pubblico è di 59.90 €.

Il look è molto piacevole, hanno uno stile retrò che personalmente apprezzo e che farà felici anche i nostri padri, molto probabilmente. Nonostante questo look retrò, il blue elettrico dei padiglioni le rendono molto giovanili (e se siete amanti del mondo Apple, troverete nel modello all white la realizzazione del vostro sogno) 🙂

Ok… sono belle… ma… se compriamo delle cuffie è per ascoltare musica e non guardarle, quindi… come suonano?

La risposta breve a questa domanda è: incredibilmente bene per quello che costano. La risposta lunga è quella che leggerete in seguito.

Come vi ho detto, per avere un termine di paragone, ho usato un altro paio di cuffie dello stesso tipo (completamente chiuse), ma di gamma più alta (e che costano più di tre volte queste Pioneer).
Non è stato un confronto nè era questa la mia intenzione,  considerando che stiamo parlando di prodotti con target differenti.
Ma… considerando le caratteristiche ed il costo dell’altra cuffia, mi sarei aspettato una forbice maggiore nella resa (cosa che invece non si è verificata).

Per rendermi conto di come le varie frequenze venissero riprodotte, ho utilizzato una vasta scelta di brani, spaziando dalla “classica” (Beethoven, Ludovico Einaudi), alla musica elettronica (Moby e Chemical Brothers), al rock (AC/DC, Metallica), al pop (Lady Gaga et similia).
Non pago, sono andato a pescare brani che estremizzassero il concetto che volevo testare; un esempio su tutti: Pale Horses [Apparat Dub Mix] di Moby, presente nel singolo Pale Horses: ci sono tonalità così basse e profonde, che ascoltarle con gli auricolari standard dell’Iphone fa morire dal ridere (dal momento che non sono riproducibili ed ascoltabili) 🙂

Di contro, la riproduzione delle tonalità basse su queste SE-MJ151 è spettacolare; i bassi sono pieni e profondi ma NON esageratamente enfatizzati come nelle altre cuffie (che dei bassi così bassi ne fanno motivo di orgoglio) 😛 Ma non di soli bassi vive la musica… ed infatti un aspetto che mi è piaciuto molto di queste cuffie è l’ottimo bilanciamento: anche le tonalità medie ed alte sono riprodotte in maniera chiara ed efficace, senza far prevalere le une sulle altre (cosa che invece non accade con le altre cuffie, in cui i bassi spiccano su tutto il resto, opprimendo un po’ la scena sonora). In virtù di ciò, è possibile godere pienamente anche musica leggera, classica o brani vocali, senza distorsioni anche a volumi di ascolto elevati (cosa che vi sconsiglio fortemente, perchè l’isolamento dei padiglioni è molto buono e vi permette di tenere fuori gran parte dei rumori ambientali.

A proposito dei padiglioni: quelli di queste cuffie Pioneer sono comodissimi! A differenze delle altre cuffie, questi padiglioni non sono incavati ma aderiscono interamente al padiglione auricolare; sono molto morbidi, non premono e non “scaldano” troppo (chiunque abbia utilizzato cuffie chiuse per delle ore sa benissimo di cosa parlo).  Regolarla in modo che calzi perfettamente sulla vostra testa è un’operazione semplicissima e “one time” (ovvero: la fate una volta e non la fate più, perchè è difficile che si sposti la regolazione che le avete dato).

Quindi questa cuffia è caratterizzata solo da aspetti positivi? No… ovviamente ci sono anche alcuni aspetti negativi.

E’ una cuffia “rigida”, nel senso che è così come esce dalla scatola, non è possibile piegarla o chiuderla ed utilizzarla in mobilità diventa abbastanza scomodo (a meno di non dedicarle una larga fetta del vostro zaino o borsa, o di uscire di casa con la cuffia sul collo, a mo’ di dj/rapper). Proprio per questo la vedo meglio come cuffia da casa (anche se nel bus mi farebbe comodo l’ottimo isolamento che la caratterizza). Inoltre, il cavo è fisso (e nella malaugurata ipotesi che vi si rompa o che ve lo mastichi il gatto, dovrete buttare la cuffia).

Giudizio di Giovy: il mio giudizio su queste Pioneer SE-MJ151 è estremamente positivo; il rapporto qualità/prezzo è ottimo e mi sento di consigliarne l’acquisto senza problemi. Io stesso, avendole provate, le comprerei per me se non avessi già un paio di cuffie altrettanto performanti (ma per le quali molto probabilmente non avrei mai speso i 200 euro del loro costo, mentre i 60 euro delle Pioneer sono più che buoni per una cuffia con queste prestazioni).

May 192011
 

Ultimamente ha fatto parecchio scalpore “l’affaire Dropbox” (mirabilmente riassunto da Ernesto in questo post).
Partendo dal presupposto che archiviare nella nuvola (il tanto discusso “Cloud”) file riservati è spesso una cattiva idea (per motivi di privacy, sicurezza ecc.) e passando per le recenti vicissitudini di Dropbox, ho pensato di condividere con voi come mi sono regolato IO per quanto riguarda i miei files (beh, del resto in passato ho parlato spesso e volentieri di storage e backup online ecc.).

Vi confesso sinceramente che ho abbandonato Dropbox come storage dei miei files da diversi mesi, un po’ perchè troppo “limitato” rispetto alle mie esigenze, un po’ perchè sono sempre alla ricerca della soluzione migliore, che faccia quello che voglio io e come voglio io.

Piccola premessa: la soluzione che vi propongo oggi NON è a costo zero; il servizio in se ha un costo davvero modesto (3 dollari al mese), a cui vanno però aggiunti i costi di storage su Amazon S3 (che dipendono da quanto spazio utilizzate). Inoltre, richiede un minimo di dimestichezza informatica (ovvero: NON è come Dropbox, che basta installarlo per vederlo funzionare al meglio).  I vantaggi di utilizzare una soluzione del genere, però, sono diversi:

  1. Persistenza del dato: i file sono conservati su Amazon S3 (anche Dropbox usa questa piattaforma per lo storage) ed al netto di catastrofi in Amazon (tutto può succedere, eh…), difficilmente perderete dei dati
  2. Sicurezza del dato: i file possono essere crittografati (AES a 256 bit) prima che vengano inviati su Amazon S3; questo fa si che solo voi possiate leggere i vosti files
  3. Sicurezza nella trasmissione: la trasmissione dei files è SEMPRE crittografata, indipendentemente dalla vostra decisione di crittografare o meno gli stessi

Vediamo quindi nel dettaglio di cosa si sta parlando: Jungle Disk Desktop Edition.

Benchè esista anche una versione di Jungle Disk che offre solo la funzione di backup (Jungle Disk Simply Backup, costo 2 dollari al mese) io vi parlerò della versione Desktop perchè è quella che offre maggiori servizi per un prezzo leggermente più alto (3 dollari al mese). Cosa offre quindi Jungle Disk Desktop Edition (anche rispetto alla versione Simply Backup):

  • client per Windows, Mac OS X e Linux
  • possibilità di effettuare il backup (con relativo restore in caso di problemi) continuo dei vostri files (feature presente anche per la soluzione Simply Backup)
  • possibilità di mappare lo storage online come se fosse un drive di rete
  • possibilità di sincronizzare una o più cartelle fra i vostri diversi computer (esattamente come Dropbox)
  • supporto per il versioning dei file
  • accesso tramite interfaccia web (come in Dropbox)
  • possibilità di condividere files e cartelle (come in Dropbox)

Perchè Jungle Disk Desktop possa funzionare, è necessario che abbiate già disponibile uno storage online a scelta fra i due supportati: Amazon S3 e Rackspace Cloud Files.
Io sono un utente Amazon S3 da quasi due anni (e ne ho parlato diffusamente in questo post) e non conosco nello specifico la soluzione di Rackspace, ma vedendo le caratteristiche mi sembrano molto simili. Tenete presente che il pricing di questi servizi dipende da quanta roba ci mettete su: se avete necessità di backuppare decine di GB, probabilmente ci sono servizi più adatti (per una scelta ponderata, potete dare un’occhiata a quest’articolo che ne mette a paragone alcuni).

Come funziona “tecnicamente” Jungle Disk Desktop?
E’ semplice: appena installato il client e configurato per l’accesso al vostro storage (che dovrete già avere, eh!), avrete la possibilità di impostare sia il backup, che il mapping come unità disco locale, che la sincronizzazione di una o più cartelle. Queste scelte potete effettuarle sia sui dischi online già presenti nel vostro storage, sia creandone uno ex novo dal client  di Jungle Disk. Creando un disco apposito per l’utilizzo di Jungle Disk avrete la possibilità di utilizzare TUTTE le feature a vostra disposizione (rinunciando alla compatibilità con altri client), mentre usando un disco già presente alcune feature (come la sincronizzazione o la crittografia) non saranno disponibili. Va da se che è possibile effettuare scelte multiple, come ho fatto io:

  • i backup vanno su un bucket di Amazon S3 già esistente (backup.giovannibarbieri), configurato in modalità COMPATIBILE: questo significa che i file salvati dal client di Jungle Disk saranno immagazzinati utilizzando le caratteristiche di Amazon S3 e saranno accessibili anche da altri client (come S3 Browser e CloudBerry Explorer per Windows e 3Hub per Mac OS X)
  • per la sincronizzazione fra i miei vari computer e l’hosting dei miei file, c’è un bucket apposito (jungleclients), configurato in modalità Jungle Disk 2.0: questo significa che i file salvati da Jungle Disk in quel bucket sono immagazzinati secondo un protocollo proprietario. NON sono accessibili da client di terze parti, ma sono sincronizzati fra i miei computer e sopratutto sono criptati (AES a 256 Bit). Questo significa che nè Amazon nè Jungle Disk hanno modo di accedere al contenuto dei files (a differenza di Dropbox, che criptava i file ma con chiavi proprie, riservandosi quindi la possibilità di accedervi a proprio piacimento). Si perde un po’ di compatibilità ma si guadagna senza dubbio in sicurezza (è comunque possibile accedere a quei files da qualunque computer nel mondo usando l’interfaccia web o il client usb portable di Jungle Disk).

Ovviamente Jungle Disk ha anche un client per iPhone, quindi posso accedere ai miei files (a TUTTI i files, sia quelli presenti nei vari bucket  di Amazon S3 sia a quelli criptati presenti nel disco dedicato) anche in mobilità.

Una nota sulla Privacy Policy di Jungle Disk: “Jungle Disk will never view the files that you upload, download or store using our service. We also do not monitor or disclose any information regarding your specific files and data without your permission, except in accordance with this policy and our terms of service”.

Giudizio di Giovy: se le recenti implicazioni sulla privacy di Dropbox vi hanno turbato (e vi capirei benissimo, hanno dato fastidio anche a me) e state cercando qualcosa di altrettanto funzionale, Jungle Disk potrebbe essere l’alternativa da prendere in considerazione. Come avrete notato, richiede una minima dimestichezza con il mondo dello storage online (e questo potrebbe limitarne l’adozione) e sopratutto non è gratuito ma… dategli un’occhiata. 🙂

Apr 012011
 

… più che spaventato, sarei arrabbiato.
E tanto.

Sappiamo tutti quello che, purtroppo, è successo in Giappone: terremoto, tsunami, catastrofe nucleare.
NON sappiamo, invece, quello che sta succedendo attualmente. O meglio: lo sappiamo, ma al pubblico viene fatto conoscere, dal governo giapponese (e dalla TEPCO, sopratutto) una parte ridicola di quello che si sta profilando come il più grande cover-up su una catastrofe dai tempi di Chernobyl.

L’incidente di Chernobyl è stato classificato, nella scala INES, al livello 7.
Quello di Fukushima, ben lungi dall’essere concluso, è invece ancora al livello 5, nonostante l’agenzia nucleare francese l’abbia classificato al livello 6 già dai giorni immediatamente successivi.

Se si guardano i criteri perchè un incidente venga classificato ad un livello INES piuttosto che ad un altro (ovvero la quantità di radioattività rilasciata nell’ambiente), l’incidente di Fukushima è già di livello 7 (anzi, sono TRE INES di livello 7). Per il governo giapponese, invece, tutto è ancora accettabile… tutto è sotto controllo… non vi preoccupate, bastano 20 chilometri dalla centrale per non correre rischi…

… andate a raccontarlo a chi vive ad Iitate (40 KM dall’impianto di Fukushima, fuori quindi dalla zona di evacuazione), dove bastano cinque giorni per ricevere una dose di radiazioni superiore al massimo consentito in un intero anno! Sia Greenpeace (che ha effettuato misurazioni indipendenti) che la IAEA (l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) hanno caldamente invitato il governo giapponese ad evacuare i residenti in un raggio ben più ampio dei 20 chilometri attuali.

Nonostante tutto questo, il governo giapponese continua a minimizzare, affermando che “faranno ulteriori controlli”, perchè non riescono proprio ad ammettere di aver perso la battaglia contro il grande mostro nucleare… la “sconfitta” non rientra fra le parole da usare in questi casi, anche a discapito della salute dei loro cittadini.

E’ un atteggiamento vergognoso, forse anche più grave di quello tenuto dalle autorità russe in occasione di Chernobyl (dove la popolazione venne evacuata 36 ore dopo l’incidente e tenuta all’oscuro della reale entità di quello che stava succedendo), perchè si sta scegliendo DELIBERATAMENTE, contro ogni buon senso e contro tutti gli avvertimenti, di esporre uomini, donne e bambini a radiazioni che lasceranno tracce per tutta la vita (il cesio-137 ha una half-life di 30 anni, e lo iodio che stanno assumendo protegge solo la tiroide dall’assorbire iodio-131, che ha una half-life di 8 giorni).

Per non trovarci mai in una situazione del genere (ed immaginando come andrebbe a finire una cosa del genere in Italia), l’unica scelta intelligente è quella di NON avere in nucleare in Italia (scelta già fatta, oltretutto… ma che il Governo attuale ha bellamente deciso di ignorare, costringendo gli italiani a dover fare un nuovo referendum, con i costi che ne conseguono a carico della collettività).